Le finzioni della storia. L’Europa di Patrik Ourednik
Orlando Trinchi
eastwest.eu, 29 Marzo 2017
“La differenza tra il mio modo di approcciare un testo e quello delle avanguardie è che le avanguardie cercano di testare quello che la lingua può ancora sopportare mentre io mi interesso soprattutto a quello che il lettore può ancora sopportare”.
Ironico e spiazzante, lo scrittore ceco – dal 1984 residente in Francia – Patrik Ourednik, autore, fra gli altri, di Istante propizio, 1855 (Duepunti, 2007) e Caso irrisolto (Keller, 2016) – realizza con Europeana. Breve storia del XX secolo (Duepunti, 2005; Quodlibet, 2017) un’operazione alquanto insolita: scrivere – sulla scorta del Bouvard et Pécuchet di Flaubert – una storia dell’Europa che non segua una linearità cronologica né ricerchi nessi causa-effetto, ma raggruppi insieme eventi variamente importanti in un montaggio disarmante nella sua disinvoltura aggregativa, utilizzando una lingua che rifletta appieno lo spirito dell’epoca.
OT: Nel suo libro, Europeana, lei adotta una prospettiva inedita e personale per raccontare la storia dell’Europa. Ritiene che per descrivere l’Europa contemporanea sia necessario un nuovo tipo di narrazione?
PO: Per scrivere Europeana, e per raccontare il ventesimo secolo, mi sono basato su tre parole che ho trovato alquanto significative: la precipitazione, l’infantilismo e lo scientismo. Proprio per questo ho tentato di scrivere un testo precipitoso, infantile e che utilizzi un gergo scientista. Ricorrendo alla stessa strategia, per descrivere il ventunesimo secolo manterrei l’infantilismo – sempre molto fecondo – e vi aggiungerei probabilmente il politically correct. Così come lo scientismo non nacque nel ventesimo secolo ma in quell’epoca si diffuse largamente, anche il politically correct non compare per la prima volta nel ventunesimo secolo ma nel ventunesimo secolo conosce la sua più ampia diffusione. Il concetto di politically correct in sé, come principio individuale, è cosa senz’altro meritevole, virtuosa; il problema è quando questo principio, valido individualmente, passa nell’ambito pubblico e si pone come fondamento di qualsiasi meccanismo sociale. In tal modo si ha come risultato l’onnipresenza dell’autocensura. Se utilizzassi la stessa strategia che ho impiegato per scrivere Europeana, dovrei scrivere quindi un libro autocensurato. Sarebbe una cosa frustrante, per quanto interessante.
OT: In un punto di Europeana lei riporta la massima secondo cui la guerra non finisce mai ma combia solo forma. Rileva nell’Europa odierna nuove forme di guerra o di autoritarismo?
PO: La guerra non finisce mai. Non so dire se l’autoritarismo si stia imponendo in misura maggiore: vi sono regioni in Europa e nel mondo ove esso non è mai scomparso ma ha semplicemente cambiato forma. In alcuni Paesi l’autoritarismo è un concetto politico e ideologico, in altri assume un aspetto più commerciale; tuttavia, siccome il commercio fa parte della politica, si ricade sempre nello stesso schema.
OT: Lei pensa che l’idea di Europa trovi oggi – nel momento in cui vengono celebrati i sessant’anni dei Trattati di Roma – piena attuazione?
PO: Io sono favorevole all’Europa e al contempo euroscettico. Non è una contraddizione. Sono scettico per quel che riguarda l’avvenire dell’Europa e mi piacerebbe che questo avvenire fosse effettivamente comune. Alla base dell’Europa vi era il tentativo di costruire un impero senza passare attraverso spargimenti di sangue – un’operazione senza precedenti –, ma sembra che tutto questo oggi vada pian piano decomponendosi mentre rinascono i nazionalismi. Come in qualsiasi costruzione politica sono stati fatti degli errori; a mio avviso, due sono stati quelli determinanti: il primo riguarda l’ammissione della Gran Bretagna e il secondo l’accoglimento di dieci Paesi, di cui nove ex-comunisti. Ci accorgiamo che il Muro di Berlino esiste ancora venticinque anni dopo la sua caduta.
OT: Esiste un atteggiamento di sospetto dei Paesi dell’Est nei confronti dell’Unione Europea?
PO: Il cinismo dei Paesi post-comunisti non è lo stesso cinismo dei Paesi occidentali. I Paesi post-comunisti fin dall’inizio – non è un difetto ma è così – hanno concepito, dopo quarant’anni di angustie, l’ingresso nell’Unione Europea come qualcosa di dovuto. Leggendo i giornali cechi – ma vale anche per gli altri Paesi dell’Europa dell’Est – non si parla mai del fatto che questi Paesi ricevano ingenti quantità di denaro. Non solo, vi sono politici che affermano addirittura il contrario, che i Paesi dell’Est escano economicamente perdenti dallo scambio con l’Unione Europea, e nessuno corregge questa flagrante contro-verità.
OT: Qual è, a suo parere, il rapporto tra storia e finzione e realtà e verità?
PO: La storia è una delle possibili finzioni, non la sola. L’atto storico esiste solo nel momento in cui gli viene corrisposta una data forma. In-formare significa appunto dare una forma, e propaganda, media, letteratura sono solo alcuni dei modi in cui gli si dà forma. Prendendo in considerazione i manuali scolastici dell’ultimo secolo possiamo osservare come ogni generazione dia un’interpretazione diversa degli stessi fatti.