Dal ceco Patrik Ourednik, La fine del mondo sembra non sia arrivata
Luca Scarlini
Il Manifesto, 9 dicembre 2018
Tra le maggiori firme della letteratura ceca contemporanea, Patrik Ourednik, sceglie il francese per l’ultimo romanzo, La fine del mondo sembra non sia arrivata (Quodlibet, vivace traduzione di Andrea Libero Carbone). La questione ricorrente nella sua opera è la insaziabile crudeltà della Storia, come teorizza il suo titolo più celebre Europeano. Breve storia del XX secolo, micidiale sequenza di fatti giustapposti vertiginosamente (uscito prima da Duepunti, poi da Quodlibet nel 2017). Ora è anche in libreria il notevole Istante propizio, 1855 (anch’esso pubblicato prima da Duepunti, ora da Exorma), acuta disamina di quella utopia anarchica che fu la colonia Fraternitas in Brasile, dove la scrittura, inizialmente regolare, collassa quando viene meno la possibilità che quell’esperienza libertaria abbia corso. Nell’ultimo libro, la catalogazione dei disastri dell’umanità passa attraverso l’incontro tra due personaggi: Jean-Pierre Durance e Gaspard Boisvert, che è appena tornato dagli Stati Uniti dove: «ha svolto le mansioni di consigliere del presidente americano più stupido della storia del paese». Come Bouvard e Pecuchet, i due signori sono impegnati in una lunga conversazione sulla voluttà di distruzione del genere umano, in cui, come sempre nelle opere di Ourednik, è in primo piano la relazione tra individuo e sistema di potere, reale o mitologico che sia. Nella sequenza di aberrazioni, una sola fotografia: un bambino allo stadio che alza il dito medio in gesto di affronto. E questo il commento: «osservate bene questa fotografia. Potete farvi un’idea dello stato della civiltà occidentale intorno agli anni venti del Duemila». La conversazione tra Durance e Boisvert è continuamente interrotta da incisi, parentesi, divagazioni. L’accumulo di informazioni produce una radicale amnesia, cui si può porre rimedio in attesa della fine del mondo: continuamente annunciata, essa arriva di soppiatto, senza che nessuno se ne accorga, se non compulsando ossessivamente cataloghi e schedari: opera certosina, inutile e al tempo stesso necessaria, che maniacalmente cerca di raccogliere i documenti per decifrare un possibile senso, e codificare una chance di espressione condivisa.