Gli anarchici van via ma nel Nuovo Mondo l’utopia naufraga
Paolo Colagrande
La Stampa, 2 febbraio 2008
Dall’Europa al Brasile per fondare una colonia ideale, fraterna e libera: un sogno che presto si corrompe e si spegne.
Si può registrare la storia con zelo illuminista, fedeltà all’archivio al reperto alla cronologia, e poi, se si vuole, coprirla di letteratura. Oppure scriverla e basta, senza metodo o senso della memoria, ripescando i fatti da dove sono affondati. In Europeana. Breve storia del XX secolo, tradotto da :duepunti nel 2005, Patrik Ourednik ha raccolto pezzi del Novecento col sistema di chi draga una palude: quel che arriva in superficie è ugualmente sterile e avariato, dalla bambola Barbie alle teorie evoluzionistiche, lo Jing e lo Jang, l’invenzione dei contraccettivi, la realtà virtuale, le guerre mondiali, la nascita del reggiseno, la psicanalisi. Non c’è narrazione, ma conversazione senza controllo e senza narratore, vicina al paradosso e col gusto febbrile dell’accumulo: non ci sono virgole (né punti e virgola, né due punti), mancano i nomi propri, gli eroi, i miti: unico protagonista l’insensatezza della storia, il fallimento del tempo che corre fra due date, il 1914, inizio plausibile del secolo, e la mezzanotte del 31 dicembre 1999, atto finale, quando lo spettro del millennium bug rischia di confondere i sistemi informatici identificando l’anno 2000 come se fosse il 1900, «come se il XX secolo e l’attentato contro l’erede al trono d’Austria non ci fossero mai stati». Patrik Ourednik (Praga 1957) offre l’unica verosimile lettura del cosiddetto secolo scorso, dei suoi malintesi, delle sue mistificazioni e turlupinature, dell’ordinario predicato come dottrina, delle tragedie inutili. La comicità – straordinaria, impulsiva e apocalittica – nasce dal movimento stesso delle cose, dal gusto infantile di dire senza raccontare, dalla rassegnazione alla congenita improbabilità del pensiero e della critica, dal nonsense di una modernità che nessuno sa cosa sia.
Ma forse il fallimento c’era già prima, non dichiarato, nascosto nel contratto sociale, nell’illusione razionalista, negli ideali rivoluzionari. Ecco allora Istante Propizio, 1855. «La scrittura è verità, la letteratura è menzogna», è la premessa alle memorie di uno sconosciuto, dapprima sottoforma di lettera alla donna amata (che non lo ama), poi di diario d’avventura fra il 26 gennaio e il 15 ottobre 1855. L’avventura nasce dall’idea di un gruppo di anarchici italiani, francesi, slavi, tedeschi, imbarcati verso il Brasile per fondare una colonia sperimentale non egualitaria ma fraterna, «un mondo nuovo lontano dal vecchio, un mondo senza passato e senza odio», quindi senza gerarchie, senza Dio, senza statuti, con libertà di ciascuno e destino comune: ecco il socialismo, riflesso della sua stessa etimologia: socius, alleato, compagno. Idea semplice – dice il narratore sconosciuto – e innovativa: semplice perché si tratta di cancellare abitudini e pregiudizi, innovativa perché si riparte da principio, si azzerano doveri e diritti, «Diritti! Con che diritto mi si vogliono attribuire diritti?».
Ma il viaggio, nonostante la buona navigazione, diventa naufragio delle idee. Le contraddizioni nascono già durante dell’imbarco: circolano improbabili statuti di un chimerico Fratello Maggiore, e – preoccupazione più seria – si teme che i coloni tedeschi rubino gli utensili: si ricorre al voto demo-cratico per stabilire turni di guardia e con lo stesso metodo si decide del diritto di voto dei negri e del loro accesso alla colonia, ma l’esito dello scrutinio non è valido: l’ordine del giorno è irrituale, il voto non è segreto e alla votazione ha partecipato il negro Samba. Si codifica l’incodificabile, come la libertà sessuale, la condivisione dei partners, lo stato di salute. Nel mondo libero vagheggiato – dove tra l’altro è vietato fumare e bere ma lo si fa di nascosto – l’ideale anarchico progressivamente si spegne, o si corrompe nella diffidenza, nella competizione e in un delirio parlamentare che ripropone, in toni ancora più radicali e grotteschi, le insensatezze della civiltà da cui si è scappati: «Benvenuti – dice il 15 ottobre un colono anziano – alla comunità di Fraternitas. Le quattro curiosità più notevoli della nostra colonia sono la miseria, l’invidia, il sospetto e l’alcolismo».
Istante propizio riesce ad eguagliare Europeana (libro dell’anno 2001 in Repubblica Ceca, tradotto in 20 lingue) per intelligenza e novità di scrittura: Ourednik, su diversi piani di narrazione, collauda una lingua capace di polverizzare gli stereotipi di oltre due secoli di storia, sociologia, scienza, religione, di smantellarne i dogmi senza mai predicare. Il registro comico, così nitido da sembrare involontario, è il mezzo più credibile per dar voce alla rassegnazione che tace nell’utopia e che, senza scalfire gli ideali, ripropone lo stesso quesito: «I saggi cesellano le loro teorie, cercano conoscenze sempre nuove, promettono un mondo migliore – e il mondo è sempre più incomprensibile e doloroso. Perché?».