In Brasile verso la nuova colonia Ma a naufragare è l’utopia della libertà
Donatella Tretjak
Il Piccolo, 3 settembre 2018
Ne “L’istante propizio” Patrik Ourednik racconta un’umanità in bilico tra aspirazioni, gelosie e violenza
C’è qualche saggio che ama ripetere “due teste, tre opinioni”. Figuratevi se le “teste” sono più di cento, anzi, 160. E il loro sogno è la libertà. Totale, assoluta. Complicato essere in tanti ed essere “liberi”. Parecchio complicato.
Seconda metà dell’800. “La Croce del Sud”, un quattro alberi senza vapore, salpa a gennaio del 1855 da Le Havre per il Brasile con a bordo un manipolo di libertari e anarchici, uomini e donne, decisi ad affrontare un faticoso viaggio attraverso l’Atlantico per fondare la libera colonia “Fraternitas” e dimenticare l’Europa. Il progetto, apparentemente visionario, appartiene a un veterinario che lavora a Cuneo. È lui che nel 1855 briga per cogliere Elisabetta, Cattina e Rina, Aniceto, Zeffirino, Decio, i fratelli Allegret, il vecchio Agottani, monsieur Mangin, Amilcare e tanti altri, tutti diversi per estrazione e nazionalità (francesi, tedeschi, austriaci, slovacchi), nutrono il sogno di una società fondata su basi egalitarie e governata da un diverso sentimento dell’agire: un mondo dove tutto sarà comune. “Esiste un solo modo di creare una società, non egualitaria ma fraterna: unirsi a chi condivide le stesse idee e costruire un mondo nuovo lontano dal vecchio, un mondo senza passato e senza odio”, racconta il fondatore della colonia anarchica. “Risvegliamo nella gente la ripulsa per il matrimonio, il focolare, la città, la civiltà. Non obbligate nessuno ad andare a scuola. Non date diritti né doveri. Date alla gente la libertà”.
E allora, benvenuti alla colonia libera di “Fraternitas”, che regge tre anni prima di crollare per miseria, invidia, sospetto, delazioni, omicidi, furti e alcolismo. Prima “crepa”: a bordo della nave ci sono anche marinai di colore. Umiliati e disprezzati dal resto dell’equipaggio, c’è chi propone di farli diventare membri riconosciuti della comunità. Si vota, vince il sì. Il giorno dopo c’è chi protesta: lo scrutino è da invalidare, la votazione pubblica non vale e la mozione non figurava comunque all’ordine del giorno. Quei poveri marinai non faranno mai parte della colonia.
Seconda “crepa”: nella colonia ci sono molti più uomini che donne e le donne rifiutano la poliandria. Quelle sposate si aggrappano al marito e alla famiglia, è raro che si avvicinino a qualcun altro; le nubili fanno le civette con due o tre giovani e attirano le gelosie. Gli uomini che hanno una compagna stabile non la “prestano” volentieri. L’amore libero non funziona, così ci si consola con il tabacco e soprattutto con l’alcol.
Terza “crepa”: i debiti. La libertà completa per tutti vuol dire che nessuno deve forzarsi a lavorare se non ne ha voglia. Eppure i soldi scarseggiano, e il debito con fornitori e mercanti aumenta. E c’è chi ruba o chi non consegna il denaro guadagnato per intero, tant’è che si arriva a proporre la creazione di un corpo di guardia permanente composto da coloni agli ordini di un consiglio. E i bambini? Non vanno a scuola regolarmente, perché hanno gli stessi diritti degli adulti e nessuno può forzarli. Sui muri della scuola vi sono dei motti: “Fa’ come ti pare”, “Tutto a tutti, niente a uno solo”, “L’uguaglianza nella libertà”. Dispute e contese vengono esaminate da un tribunale popolare e i coloni decidono la sanzione. Viene promulgata una Costituzione e una lista dei doveri del colono. Tutto come prima, tutto così simile al mondo volutamente abbandonato. Il viaggio non è altro che il naufragio delle idee.
Patrik Ourednik - poeta, scrittore e traduttore ceco trapiantato a Parigi - in questo libro si ispira alla figura dell’agronomo rivoluzionario Giovanni Rossi e al suo progetto di comune anarco-comunista datato 1878 e realizzato dapprima nei pressi di Cremona con il podere Cittadella (con scarsi risultati) e poi in Brasile con la comunità “La Cecilia”, fondata nel 1890. Il risultato di questo libro è un diario corrosivo sulle contraddizioni dell’animo umano e sulle romantiche incongruenze del socialismo utopistico di fine ’800. “Il mondo è pura follia. L’uomo nasce in manette in un mondo di odio e desolazione”.