“Istante propizio, 1855” di Patrik Ourednik
Maria Lina Pirone
rivist@, 1 marzo 2008
In quarta di copertina lo scrittore Paolo Nori scrive: “Riassunto del libro: è bella l’anarchia? È bellissima. È possibile? Non è possibile. È meno bella per il fatto di non essere possibile? Non è meno bella.” Questo è il succo di Istante propizio, 1855, un libello di 134 pagine che narra le vicende di un gruppo di coloni, partiti alla volta del Brasile carichi di speranze ed ambizioni. L’obiettivo cui anelano i coloni è di dar vita a “Fraternitas”, un’organizzazione il cui nome è tutto un programma. Mettendo in comune donne, averi, e persino figli, lavorando tutti per uno ed uno per tutti, i coloni aspirano a diventare quan-to più possibile autonomi rispetto al mondo dal quale sono fuggiti. Ben presto però l’esperimento risulta fallace, e nascono inevitabili tensioni e litigi. Insomma: il motto “ciò che tuo è mio, e ciò che mio è tuo”, tanto propagandato all’inizio dell’avventura, non trova facile realizzazione.
L’Istante propizio, 1855 è dunque un’occasione mancata, o una presa di coscienza del triste infrangersi di un’utopia? Non è chiaro, o forse sfugge tra le righe di una narrazione a tratti noiosa, eccessivamente didascalica. Dopo un primo capitolo intenso, quasi in contrasto con le pagine che seguono, Ourednik – autore ceco, già autore di Europeana. Breve storia del XX secolo – fa un salto indietro per concentrarsi sull’esperimento coloniale. Come il programma utopico esposto, però, fallisce. Peccato. A noi piace ricordarlo attraverso le pagine del primo capitolo, una sorta di trattato avulso dall’intera narrazione, in cui l’autore, a quasi cinquant’anni dall’immaginifico esperimento “Fraternitas”, ribadisce le sue idee anarchiche con fermezza. Lasciandosi andare in una lettera indirizzata ad una non meglio identificata “signora”, Ourednik scrive:
“Non mi sottraggo alla scrittura; non ho che farmene della letteratura. La scrittura è verità, la letteratura è menzogna […] Niente per lo scrittore è più infido della scrittura, e per schivarla si rifugia nella letteratura, moltiplicando gli intrecci e imbrogliandosi nelle sue pieghe e nei suoi merletti. Le parole gli sono indifferenti come i mattoni lo sono per il muratore, i personaggi non sono per lui altro che recipienti vuoti nei quali riversa false passioni e sentimenti idioti”.