La Nuova Sardegna (Ignazio Delogu)

domenica 18 marzo 2012
di  NLLG

Trattato sul buon uso del vino

Ignazio Delogu

La Nuova Sardegna, 3 giugno 2009


Non è la prima volta che una piccola casa editrice pubblica un grande libro (Francois Rabelais, Trattato sul buon uso del vino, :duepunti edizioni, Palermo). Ma questa volta lo “scandalo”, per così dire, è maggiore perché inaspettato, data la distrazione di certe editrici più interessate al mercato che alla qualità del prodotto. Alla meraviglia si somma il risarcimento, la soddisfazione e insieme la rinnovata curiosità. Intellettuale, certo, ma non per questo meno vorace, non fosse che per stare in tema. L’autore è tutt’altro che uno sconosciuto. Semmai uno dei più noti e non solo al pubblico cult ma anche, magari solo per sentito dire, a quello più vasto dei buontemponi degli smargiassi e degli abbuffatori. Dei rabelaisiani impenitenti, insomma. E se Rabelais è uno dei più straordinari e generosi dispensatori di allegria e di novità, il Trattato lo conferma pienamente. Non resta che ringraziare il caso per il fortunato ritrovamento. Che Rabelais oltre all’immortale Gargantua et Pantagruel avesse scritto qualcosa che il tempo e la distrazione avevano sepolto chissà dove, era sospetto più volte balenato ai suoi lettori e agli studiosi della sua opera. Sta di fatto che, si trattasse di pura congettura o non rimanesse che da rassegnarsi ed aspettare il caso non cinico baro ma vendicatore e persino beffardo, il tempo è stato galantuomo. Perché il testo di cui si tratta non è stato rinvenuto dopo lunghe ed estenuanti ricerche in un archivio di Lione, luogo di lunga residenza del nostro Autore, e neppure a Parigi nei suoi ricchissimi archivi o nella pingue e doviziosa Biblioteque Nationale de France ma casualmente – e la cosa avrebbe sicuramente fatto sganasciare dalle risate il suo Autore – in un polveroso e imprevedibile scaffale del Museo Nazionale di Praga dove giaceva solitario e ignorato da circa quattro secoli. Da quando, e non si tratta di pura e però suggestiva ipotesi, ne era stata fatta una traduzione in lingua ceka appunto, nel 1662, più di cento anni dopo (1532) la prima edizione francese. A testimoniare che l’uso del buon vino, codificato o meno in un trattato, era noto a popolazioni apparentemente più solite a tracannare aguardiente e vodka che non vino rosso o anche nero. Prima di questa edizione palermitana – a ciascuno il suo! – un’altra ne era apparsa, in francese, questa volta, qualche mese addietro, senza destare grande scalpore. Si fa per dire, perché qualche notizia ne era arrivata anche a quanti, inesausti credenti nell’inesauribile creatività e capacità di sorprendere i suoi fans, erano rimasti in attesa di saperne di più. Ed ecco che il testo, sfuggito all’occhiuta ingordigia dei signori dell’editoria, si manifesta nei tipi della :duepunti edizioni, giovane e agguerrita editrice palermitana in una veste che dire elegante non è dire abbastanza, tanto si avvicina per gusto e misura ad un piccolo gioiello tipografico. Impreziosito da ben centoventi incisioni tratte dalla prima edizione dei Sogni bislacchi di Pantagruele (Parigi 1565) che completano il testo. L’edizione critica, ineccepibile, e le note sono a cura di Patrik Ourednik, della quale cogliamo qui l’opportunità di segnalare la bislacca intrigante e per certi versi esilarante Europeana. Breve storia del XX secolo, altro colpo della :duepunti edizioni. Segue un breve ma acuto e stimolante saggio su Rabelais di Marcel Schwob, che si propone da buon rabelaisiano di “destrutturare il romanzo”. Ora, se qualcuno ha “destrutturato” il romanzo, prima ancora che nascesse nella sua forma moderna, è proprio il creatore di personaggi come Gargantua, Pantagruel e Gargamelle, irriverenti e invincibili campioni dell’anticonformismo, nemici del perbenismo, profeti e apostoli della libertà, della licenza e della gioia di vivere. Come? Destrutturando per ristrutturare. Il rinvio è al medesimo indirizzo: Rabelais. Gaudeamus igitur! Con buona pace degli abatini letterari ma anche delle più private e inutili sregolatezze che adugiano la nostra narrativa.