Oggi e dopodomani
Renzo Brollo
Mangialibri, 9 marzo 2012
Cinque uomini, che suppongono d’essere sopravvissuti a una fine del mondo plumbea e nebulosa, si ritrovano in una casa dagli arredi minimi che, col trascorrere di un tempo non più misurabile, si rimpicciolisce, trasformandosi in una stanza dai connotati quasi claustrofobici. I protagonisti sono quattro italiani e un francese. Giovanni, Andrea e Carlo, tra i quaranta e i quarantacinque anni, il Dottor Signori, di età indefinibile, e il pensionato Jean-Marie. Nel solo tempo esistente, un presente che scorre piatto e lento, i cinque uomini si ritrovano nella casa, che pare sopravvissuta a un cataclisma inodore e incolore. Il mondo, cioè, si è come dissolto dentro una nebbia grigia e impenetrabile che, avanzando, ha cancellato ogni traccia alle sue spalle. I cinque uomini (casualmente?) si sono ritrovati in una dimora vuota, varcando una soglia di cui non ricordano quasi nulla. La porta, infatti, non ha maniglia e non sembra sia possibile spingerla o tirarla, e chi l’ha appena fatto già non ne ricorda più il meccanismo. Le undici e cinquantacinque sono il momento fisso e continuo indicato dalla vecchia pendola, mentre il buio invece arriva sempre più presto. I discorsi tra gli attori (che in un ulteriore scenario paradossale e sovrapposto recitano sopra un palco simulando una pièce teatrale) passano dal serio al faceto, disquisendo di cibo, di un ipotetico mondo futuro di cui loro potrebbero essere i creatori e i capostipiti se solo ci fosse qualcuno o addirittura qualche cosa con cui riprodursi. Che cosa saremmo noi, ci si chiede, se non ci fosse il passato, se la Storia non avesse un ordine? Solo energia profusa inutilmente...
Lavoro particolare, spiazzante nella forma e nella sostanza, con una tecnica che forse, e purtroppo, la razza media italiana, lettrice di gialli e romanzi vampireschi, non ama e non cerca. La scena vista dalla platea di un ipotetico teatro (di provincia, povero, anonimo) è quella di una recita minimale, secca, fredda. Dopotutto i cinque protagonisti ipotizzano sia la notte di capodanno, un inizio e una fine dentro una fine e un inizio a carattere planetario. Il mondo è giunto a una fine, che potrebbe essere l’ennesima fine, perché dopotutto chi lo dice che il mondo non sia già sopravvissuto ad altri eventi simili? Un riavvio del sistema, che permetta alle creature dell’universo di riallinearsi e porsi nuovamente nell’ordine corretto. La Storia ci insegna che l’ordine è necessario. Gli eventi si susseguono e non possederne il senso cronologico, oppure anche la mera conoscenza di quanto è già accaduto, può essere un grave danno. Il nulla prima di noi sta a significare che la nostra vita non è servita a niente. La vita di tutti noi non ha alcun peso. Quello che altri hanno fatto prima di noi è stato tutto vano. Energie sprecate. Per quanto riguarda il presente e il futuro, non c’è niente di più difficile interpretazione. Sono tutti Adesso che si sovrappongono e si avvicendano. I cinque uomini (non ci sono donne disponibili, ma solo uno di essi alla fine ne vestirà i panni) cercano un dialogo normale, mentre l’anormalità dilaga. Non ci sono barzellette, aneddoti o frasi futili che risultino efficaci. Ogni gesto, dentro quella stanza, sopra quel palco, che si sta rimpicciolendo sempre di più, torna verso un disegno più grande: da un cataclisma primordiale siamo partiti, attraverso altri cataclismi intermedi siamo passati, il nostro destino sarà forse quello di attraversarne altri all’infinito. Se il buio arriva, non è detto che da qualche parte non ci sia una luce o una via d’uscita. E la maschera del teatro che lo sa, prima o poi ci guiderà verso di essa.