Ourednik, “Oggi e dopodomani”
Anna Ingeborg
Dietro le parole, 16 aprile 2012
“Forse moriremo di fame. Oppure di sfinimento. Forse un diluvio sommergerà la casa. Forse saremo attaccati da insetti venuti da un pianeta sconosciuto, che ci succhieranno il midollo. Forse qualcuno verrà ad ammazzarci. Forse ci ammazzeremo tra noi. Forse vivremo ancora per molti anni e moriremo di cancro. L’unica grazia che Dio ci ha fatto, ammesso che esista, è averci nascosto il modo in cui moriremo. (Pausa) Averci fornito di immaginazione, in compenso, non è stato particolarmente caritatevole”.
Quattro scene più un epilogo, cinque sopravvissuti destinati all’estinzione, un mondo sull’orlo del baratro, lo spazio di una stanza rassicurante che si va inesorabilmente restringendo e che contiene come in una sorta di arca le vestigia ancora utili di una vita plausibile.
Questo scrittore, per me una scoperta, una felicissima scoperta, è un animale teatrale. Leggo nella quarta di copertina che Ourednik è traduttore in ceco delle opere di Beckett (e dal ceco al francese di Hrabal) e si vede bene quale nutrimento gli scorra nelle vene. Leggere un testo teatrale è sempre una strana ed affascinante esperienza, non si può fare a meno di accompagnare la lettura con una personalissima messa in scena mentale, non si può prescindere da ritmi, movimenti, espressioni e voci. “Oggi e dopodomani” è un dramma giocato sul concetto del tempo, sulla realtà o irrealtà del tempo, sui riti sociali con i quali gli uomini cercano di dominarlo e definirlo, sulla vacuità che ne nasconde l’inizio e la fine. Del resto il tempo è argomento privilegiato anche di “Europeana”, l’altro capolavoro di questo autore pubblicato dalle edizioni Duepunti. Penso che l’efficacia di questo dramma stia nella capacità dell’autore di mantenere una misura serrata e priva di sbavature. “Oggi e dopodomani” è un orologio perfettamente funzionante, un meccanismo perfetto ; l’assurdità è tutta al di fuori di questo meccanismo e, quindi, ancora più evidente. Cinque personaggi che, fin dalla loro prima battuta, sono immediatamente riconoscibili e perfettamente caratterizzati, e che immediatamente stringono rapporti e vivono (e risolvono) conflitti. Una parvenza di quotidianità vissuta per abitudine, e perpetuata come luogo dell’estremo bisogno di sicurezza. Fuori il vuoto, la fine del mondo che avanza senza clamori, il nulla che ci seppellirà. E, su tutto, la meravigliosa voce del Dottor Signori, colui che insegna a non disprezzare la filosofia, perché “La memoria aborre il vuoto, e forse in realtà ha inventato una radura nel nulla”.