Ourednik – Il risveglio dal Secolo breve
Jean-Marie Rossi
MRI : Meridiani relazioni internazionali, 2 luglio 2012
A qualche settimana da Spostare il centro del mondo del Keniota Ngugi ritorniamo nella cara vecchia Europa con un testo enciclopedico e dissacrante sulla natura del ventesimo secolo e la sua eredità. Con grande piacere ecco a Voi di Patrik Ourednik – Europeana, breve storia del XX secolo.
Nel caso abbiate una laurea in scienze politiche o scienze umanistiche – ma anche se siete degli “afficionados” di Discovery o History Channel – c’è un concetto con cui nel migliore dei casi siete venuti a contatto e nel peggiore vi ha perseguitati con una certa decisione : il Novecento come “Secolo breve”.
Un secolo di guerre poderose, fantastiche scoperte scientifiche, gravi e incolmabili fratture sociali e, nondimeno, un secolo la cui eredità poggia su una grave perdita di un certo alto ideale di civiltà che aveva guidato il nostro divenire come singoli e come collettivo.
Certo non è tutto merito di Hobsbwam, che nel ’94 scrisse appunto il “Secolo breve”, ma è inutile non voler riconoscere d’essere stati educati a un certo religioso rispetto verso il ’900. Intendiamoci, a tutto il ’900 – dai caduti della Grande Guerra fino all’era di Gates e Jobs, passando magari dai big mac di Macdonald’s e dalle teorie economiche di Friedman. Tant’è che, come abbiamo ricordato più volte su MRI, è in quegli stessi anni che Fukuyama decretava la fine della Storia – una piroetta intellettuale notevole ma fattualmente non solo improbabile, ma impossibile. Dev’essere che come occidentali ci piacciono i finali, ovviamente i gran finali.
Ad ogni modo sappiamo di avere questa grammatica mentale per cui “un tempo il futuro era migliore”, per cui il Novecento era stato sì l’apice della nostra barbarie ma anche l’apice della nostra umanità. Così ci ritroviamo a essere una civiltà sostanzialmente conservativa, innamorata del proprio melodramma. Eppure in questa spinta edonica verso la sacralizzazione di quello che è stato, o meglio di quello che abbiamo voluto ricordare che è stato, iniziamo col perdere i pezzi. Sta forse succedendo che questo castello di carta che è il nostro atteggiamento verso la nostra storia recente, sta iniziando a collassare sotto il peso della propria inadeguatezza al nostro modo di vedere le cose.
Perché non possiamo ignorare il fatto che ad oggi non facciamo più filosofia ma storiografia filosofica, che le costituzioni scritte dai nostri nonni non possono valere per noi o per quelli che sono e saranno i nostri figli, che i diritti umani e le istituzioni internazionali che abbiamo creato per proteggerci ormai proteggono solo se stessi. E va da sé che anche la nostra storia recente per come ci è stata raccontata, non solo non ci rappresenta più ma è diventata la nostra prigione invece che la nostra forza. Ci vorrebbero amanti di quello che è stato, persino amanti della tragedia che siamo stati e per ciò colpevoli ‘ad aeternum’, in un futuro che abbia sempre il gusto del passato : un purgatorio senza fine. Certo questo non è scritto nero su bianco, ma è l’atteggiamento con cui l’Occidente guarda a se stesso.
Allora forse abbiamo bisogno di occhi diversi per guardare al nostro passato. Uno sguardo che sia serio, a tratti amaro, ma senza quel senso di melodramma a cui ci siamo abituati. Quindi invece che poderosi e polverosi saggi storici, meglio Europeana di Patrik Ourednik. Un piccolo testo – secco, ironico e dissacrante sulla storia del XX secolo. Centocinquanta pagine e nessuna virgola, nessun capitolo, nessun vezzo, solo uno sguardo nuovo – ed onesto.