Alfabeta (Marco Giorgerini)

venerdì 3 febbraio 2017
di  NLLG

Patrik Ourednik, autoritratto del secolo in breve

Marco Giorgerini

Alfabeta2, 26 aprile 2017


Europeana è uno dei libri più apprezzati dello scrittore e traduttore praghese Patrik Ourednik. L’autore lo pubblicò nel 2001, e quattro anni dopo fu possibile leggerlo in italiano, per i tipi della palermitana :duepunti. Ora lo ripropone Quodlibet.

Ho parlato di “libro”, e su questo non ci sono dubbi. Ma se volessimo essere più precisi? Cos’è Europeana? Cominciamo col dire cosa non è. Non è un romanzo storico. Non ricorre a materiali di fantasia e non dà rilievo a specifici personaggi e vicende. Non ci sono protagonisti, insomma, né antagonisti; non c’è una trama e non c’è suspense romanzesca. Ha l’aspetto di un saggio sui generis, ma trascura scrupolosamente tutti i precetti della buona saggistica. Anzi, li ribalta uno a uno: il prima e il dopo vengono invertiti e accostati, il rigore argomentativo è assente, la sobrietà espositiva è intermittente e, in ogni caso, è interrotta da guizzi di ironia nera. Naturalmente, il lettore non troverà neppure una bibliografia in coda al testo o un apparato di note. È forse una di quelle forme ibride che incrociano realtà e finzione e si rifiutano di indicare dove termina la prima e dove inizia la seconda? Neppure.

Europeana è allora, forse, la storia del “secolo breve” così come la scriverebbe un alieno particolarmente longevo e dotato di un certo sense of humor. Un alieno, dico, perché tra queste pagine i riferimenti spaziali sembrano del tutto trascurabili. Si percepisce la Terra esattamente per quello che è: un piccolo punto infinitesimale perduto in mezzo al niente, o in mezzo al tutto, che è lo stesso. E allora, stando così le cose, che importanza volete che abbia soffermarsi sulle caratteristiche geopolitiche dei luoghi? Dalla Finlandia si passa all’Italia e dall’Italia agli USA. Un extraterrestre (magari uno che non sia un Hobsbawm redivivo, non si sa mai) farebbe lo stesso, no? Per quanto riguarda l’elemento temporale la situazione non cambia. È tutto caoticamente mescolato, in questo bazar storico che accosta cianfrusaglie a oggetti di valore (del resto da lassù non è mica facile distinguere) e che è l’apoteosi del relativismo.

Non potrebbe essere altrimenti, in fin dei conti. La durata della vita umana è irrilevante per quanto è breve, e il secolo scorso – pieno di eventi che, come siamo soliti dire un po’ presuntuosamente, hanno fatto la storia – si andrà rimpicciolendo non appena sarà visto in prospettiva. Insomma, per un alieno che avesse una vita media di appena qualche migliaio di anni (e sarebbe anch’essa breve, relativizzando ulteriormente) il XX secolo terrestre sarebbe niente più che una nota a margine, scritta in caratteri praticamente invisibili, nel libro del Tempo.

In un certo senso, questo piccolo gioiello letterario fa l’effetto di una gigantesca parentesi. Chi lo leggerà avrà la sensazione di incappare in un inciso, in uno spazio vuoto tra qualcosa e qualcos’altro, uno spazio riempito all’inverosimile di accadimenti e resoconti connessi in qualche modo all’argomento principale. Solo che un argomento principale non c’è, non al di fuori della parentesi. Provate a immaginare una serie di rette tangenti una circonferenza che non esiste. Se non riuscite a farlo è perché non vi siete ancora immersi in Europeana.

L’effetto straniante che sto provando a descrivere è frutto sia, come detto, dell’accostamento concettuale di eventi difficili da giustapporre sia di uno stile fondato sulla costruzione polisindetica. Se contassimo le volte in cui compare la congiunzione “e” otterremmo probabilmente un numero esprimibile in potenze di dieci.

Forse, però, c’è anche altro. Soprattutto altro. Il rifiuto delle gerarchie e il porre tutto sullo stesso piano non giustifica uno straniamento così forte. Del resto, ci siamo abituati (vedi alla voce “postmodernismo”). Certo, la prima guerra mondiale è affiancata alla vendita di sperma su internet e la rivoluzione dei costumi degli anni Sessanta fa il paio con le righe su Scientology, ma ciò che davvero sorprende è lo status schizoide della voce narrante. Il distacco di chi vede il mondo dall’alto implica, unitamente al ridimensionamento di fatti solo apparentemente epocali, una certa compostezza stilistica. Lo sguardo dell’osservatore extraterrestre sarebbe simile, immagino, a quello dell’entomologo che scopre l’esemplare di una nuova specie. Qui, invece, il narratore assume nella sua stessa voce il disorientamento e l’empatia di chi è ancora del tutto immerso nel mare magnum novecentesco.

Che sia il ventesimo secolo a raccontare se stesso? Un secolo violento e spietato ma, evidentemente, umile quanto basta per sapersi guardare dal di fuori. Un secolo confuso, anche, e persino capace di provare pietà e disincanto. Sarebbe ingannevole credere che non ci siano tracce morali dietro un resoconto a prima vista così impersonale. Ourednik si prende gioco, amaramente e con malcelato trasporto, delle idee di modernità e progresso che, secondo molti, avrebbero fatalmente caratterizzato il nuovo mondo pacificato. Il ritornello è il medesimo dopo ogni periodo di crisi e dopo ogni conflitto. Il gioco si ripete, come procedendo nella lettura si ripetono, nell’identica forma, molte immagini che il lettore ha già incontrato nelle pagine precedenti.

“Gli strateghi militari dicevano che d’ora in avanti nessuno sarebbe morto in guerra”, scrive l’autore. E aggiunge, con l’ironia tragica e disincantata che gli è propria: “...tranne i nemici”.


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