Brandelli di storia
Paolo Morelli
Blow Up, 165. Febbraio 2012
Se ne sentiva il bisogno. È di nuovo in circolazione Europeana. Breve storia del XX secolo del ceco Patrik Ourednik. un piccolo capolavoro tradotto in una ventina di lingue ma che da noi, come gli altri suoi libri, ha trovato rifugio solo nelle sorprendenti edizioni palermitane :duepunti. Il Pensiero Unico odierno, quello per cui tutte le vacche sono grigie, impone che si pensi a un capolavoro come roba grossa, voluminosa, pesante in tutti i sensi, qui invece si intende dire subito che la direzione è contraria, già nello spessore. Eppure allo scrittore non manca mica il fiato, nemmeno per idea, e lo ribadisce tanto nell’abolire l’uso delle virgole quanto nel porre i fantasiosi titoli dei capitoli a la te re, a mo’ di glossa. Tutti i libri di Ourednik sono libri sottilmente divertenti ma soprattutto efficaci, imitando nel loro andamento narrativo il modus operandi principale della mente umana, quello su cui si fondano tutti gli altri, vale a dire la divagazione digressiva. E in questo senso provocano riconoscimenti profondi e quasi curativi. Ossessionato dall’idea della sparizione tanto della realtà quanto di qualsivoglia verità, l’autore si lancia all’inseguimento della logica che fa da ordito a quella follia che pretende ancora di chiamarsi Storia, vale a dire la progressione illogica di una conoscenza sempre più astratta e per niente basata sull’esperienza. Brandelli di vicende centenarie vengono inseguiti e macerati con fare distaccato e insieme allupato, come uno stalking per un mondo alla deriva, e un tono tra l’avviso e il proclama, come un editto disperato che sancisce il vuoto e perverso roteare delle teorie, l’affastellarsi di una scoperta dietro l’altra nonché della violenza che quasi sempre presumono. In questo fiume che pare diretto necessariamente alla disgrazia, altrimenti detta teoria della “fine della storia”, gli attori umani ci fanno la solita figura di burattini, con un barlume di speranza ridanciana proprio nel finale: “ma molti non conoscevano questa teoria e continuavano a fare storia come se niente fosse”.