La Repubblica (Marcello Benfante)

lunedì 12 marzo 2012
di  NLLG

La memoria della Shoah

Marcello Benfante

La Repubblica, 25 gennaio 2006

[...] Per la disattivazione della memoria niente è più efficace del congelamento in una forma perfetta e conclusa. Lo scrittore ceco Patrik Ourednik, nella sua folgorante Europeana. Breve storia del XX secolo (:duepunti) data al 1920, in Francia, l’invenzione del monumento al milite ignoto, con cui si dava forma estetica e civile all’immondo massacro della prima guerra mondiale, all’orrore delle fosse comuni, dei cadaveri mutilati e irriconoscibili, dell’anonimo sacrificio dei soldati dilaniati.

La retorica della memoria pietrificata e sacralizzata mette in opera una strategia di sublimazione del trauma: il monumento con la sua mole e la sua dura consistenza attesta una coscienza obnubilata. Per Ourednik si tratta di una organizzazione della memoria collettiva in uno “spazio simbolico” e in tipologie istituzionali il cui ordine e il cui schema intellettivo altro non sono che un modo di produrre un oblio “strutturale”, un riflusso psichico nel quale l’evento celebrato si riduce a un’immagine astratta. Infatti, nel Novecento «la memoria era passata dalla sfera della storia a quella della psicologia e questo aveva inaugurato un nuovo dominio della memoria nel quale non era più in questione la memoria dell’avvenimento ma la memoria della memoria».

L’elevazione al quadrato della memoria implica una sorta di sdoppiamento dell’identità, di schizofrenia epistemologica: lungi dal conoscere noi stessi, smarriamo anche la concretezza del fatto oggettivo e ne serbiamo soltanto lo spettro.

La questione ha pure un risvolto etico-poetico. Scrive Ourednik: «Certuni erano dell’avviso che un’opera d’arte non fosse uno strumento appropriato per esprimere l’olocausto che è refrattario a ogni regola estetica e altri consideravano che l’ideale fosse un progetto capace di esprimere l’indicibilità dell’olocausto». Dal dilemma scaturiscono progetti ammonitori, didattici, allusivi: una grande stella giudaica che ruota sul proprio asse o delle montagne russe su cui scorrono carri bestiame o ancora trentanove piloni d’acciaio con scritta la parola-domanda “perché?” in altrettante lingue. Ma è il concetto stesso di monumento ad essere criticato tout court da alcuni storici, in quanto «conservare la memoria di un avvenimento non dava alcuna garanzia sul fatto che questo non si potesse riprodurre». Il memento è vano, per la semplice ragione che la storia non è magistra vitae, non insegna nulla o forse insegna a perpetuare il male. [...]


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